Non sono mai stato presuntuoso, ma al contrario cerco sempre di capire, interpretare e inventare cose nuove, perché la continua ricerca di qualcosa di nuovo crea l’imprevedibilità.
Ho cominciato ad allenare la mia prima squadra, di bambini, all’età di 17 anni, mentre ancora giocavo, ma evidentemente la strada era già segnata, infatti tuttora, dopo una breve pausa, il destino mi ha riportato ad occupare il posto di allenatore che per i giovani secondo me deve essere più quello di un educatore sportivo, per poi dar loro come valore aggiunto tutto quello che di tecnico e tattico può dare un allenatore ai propri ragazzi.
“Ai miei tempi”, come dicono tutti quelli che come me hanno smesso il calcio giocato da almeno 10 anni, non c’erano i campi in sintetico e se trovavi quelli “erbati” potevi considerarti molto fortunato e sperare di non aprirti in qualche caduta o scivolata di gioco. Ciò nonostante non ci fermava alcuna lacerazione o tumefazione, tanta era la voglia di calciare il pallone.
Oggi è tutto più semplice, i terreni di gioco sono perfettamente piani, morbidi e le righe … beh, quelle sono disegnate, non devi più tirare fuori la macchinetta da riempire di gesso per tirarle prima della partita.
Per questo è importante far capire ai giovani, ma non solo, che il calcio è ancora sacrificio e disciplina, rispetto e dedizione, divertimento e passione, e che la comodità è un lusso su cui non ci si deve abbandonare.
Oggi mi sento ancora un ragazzo che ama questo sport come 30 anni fa quando da adolescente sognavo di diventare un calciatore, e ora sogna, da allenatore, di poter continuare a imparare e vivere di questa passione, che ti riempie i polmoni come l’aria fresca della mattina appena alzati.