La prima cosa che mi sento di precisare è che parlare di Allenatori e parlare di Educatori Sportivi, oggi più che mai, è una distinzione indispensabile perché rappresentano due momenti diversi ed importantissimi sia di evoluzione della persona stessa sia del percorso diverso che fanno e che fanno fare ai loro ragazzi/giocatori.
Mi focalizzo per una volta sull’aspetto personale che coinvolge anche me, cioè quella dell’Allenatore/Educatore, alle sue scelte, alle sue aspirazioni e alle opportunità che può cogliere.
Dedicarsi alla Scuola Calcio vuol dire fare di tutto, sia dal punto di vista educativo sportivo, sia dal punto di vista tecnico perché rappresenta il periodo più delicato di formazione di base, quella che crea le fondamenta umane, caratteriali e tecniche del ragazzo … ma anche dell’istruttore stesso.
Infatti facilmente sfugge quello che accade a chi come noi comincia con il gestire squadre di bambini dei primi calci o dei pulcini dove la prerogativa è che giochino e si divertano, mentre quello che si acquisisce nel gestirli è un bagaglio personale che rimane, che non sparisce, perché quando allenerai un ragazzo adolescente saprai capire meglio da dove viene, da quale ambiente, quali esperienze e soprattutto quale carattere ha, proprio perché hai conosciuto prima la fase da “bambino”.
Certo, non è facile, anzi, molto difficile, non c’è niente di già scritto o certo, tutto cambia con talmente tanti parametri che ogni esperienza è diversa dall’altra ed è qui che si tempra l’Allenatore o Educatore Sportivo.
Molti sono soddisfatti del mondo dei piccoli e piace talmente tanto che non vedono la necessità di cambiare, salire di categoria, preferendo rimanere nel mondo dove forse sono tutti più sani (tranne i genitori, ma qui dovrei aprire una parentesi … che non apro).
A quelli come me però l’agonismo, la voglia di crescere, di migliorarsi, non passa dopo aver appeso le scarpette al chiodo e se si è innamorati del rettangolo verde, del creare un gruppo, del gestirlo e di coordinarlo per vincere, la Scuola Calcio sta un po’ stretta.
Una delle strade percorribili è proprio quella che concedono alcune società, dando la possibilità di formarsi dai piccoli fino a farti arrivare all’agonistica. Percorso che ipoteticamente potrebbe aprire la strada verso orizzonti sempre più di livello.
Questo secondo me comporta tuttavia il “fossilizzarsi” e rimanere sempre nella stessa realtà, la stessa società e lo stesso ambiente, rimanendo quasi ingabbiato e limitando la propria esperienza.
Nel momento in cui crescendo si tenta di cambiare, viene nuovamente proposto di ripartire dai piccoli perché le società desiderano conoscerti meglio, ma un anno, due, tre, trascorrono e ti ritrovi dov’eri prima.
Forse mancano le occasioni, le conoscenze, i cosiddetti “agganci” e magari per molti mancano anche le competenze, ci mancherebbe, d’altra parte non bisogna mai sentirsi arrivati o superiori agli altri e bisogna saper accettare anche di non essere all’altezza, ma … le opportunità?
Trovo disagio ad affrontare l’argomento perché potrebbe sembrare un tipo di lamentela che sinceramente infastidisce anche me, quindi sorvolo.
Tuttavia il lavoro svolto e l’impegno anche nel formarsi (spesso a spese proprie) per essere più competenti e diventare più bravi, sono fondamentali ma anche poco considerate.
Quindi, essere Allenatore ai giorni nostri non è facile o meglio non è facile diventarlo e ancor meno dimostrarlo, ma siamo cresciuti sul campo, lottando per un pallone che per me ha sempre rappresentato la vita. Combattere quindi per crescere e diventare un allenatore da competizione credete che faccia paura? Non fa paura a nessuno di noi, anche perché il pallone non ci ha mai spaventati, anzi, se mai è linfa vitale che ci spinge ogni giorno.